TESTIMONIANZE DELL'ETÀ STORICA DAL MEDIOEVO

AI GIORNI NOSTRI

 

 

2.        La scultura lignea nel territorio del Goceano

 

Nonostante la presenza di alcuni elementi di retablo tra i più celebri della Sardegna del Cinquecento, opera del "Maestro di Ozieri", affasci­nante, eclettico e problematico artefice di dipinti di straordinario spes­sore artistico, nel Goceano ciò che si impone non è tanto la tradizione figurativa, quanto quella scultorea. Su questa espressione d'arte va per­ciò diretta una maggiore attenzione quantunque non offra testimonian­ze di eccelsa fattura o di paternità riguardevoli.

Nel campo della scultura lignea questo territorio rivela le caratteri­stiche proprie delle aree interne della Sardegna: commissioni date ad artigiani che elaborarono i loro simulacri su modelli desunti dalla cultu­ra colta. Non si trattò di esemplificazioni pedestri, ma di interpretazioni spesso condotte con un linguaggio vernacolare atto ad incontrare il gusto di un territorio povero e lontano dai centri più accreditati dell'arte.

Le esigenze delle popolazioni del Goceano erano quelle di appagare per 10 più il sentimento di una devozione imbevuta di tradizione e di latente paganesimo. La statuaria lignea è pertanto senza referènti illu­stri a cui ispirarsi, sottesa all'imitazione di quanto era stato realizzato in altre aree isolane. La mancanza di centri storicamente e economicamen­te rilevanti soprattutto nei secoli XVII e XVIII, periodi in cui la scultura ebbe un'enorme produzione, attesta le peculiarità popolari del tipo di plastica riscontrabile nel territorio Tilocca 1987). Non si può ignorare lo stato di perenne miseria che attivò qui una visione del mondo diversa che altrove, stabilendo speciali rapporti tra gli uomini e la natura.

In questo ambiente difficile, avaro di prospettive in senso lato, va formandosi un senso d'accettazione e di rassegnazione assai noto agli antropologi e agli studiosi di demologia, i quali hanno osservato che in simili casi si indebolisce la cooperazione per un comune interesse civico a favore di altre forme di vivere il senso di comunità (Ferrarrotti 1961, pp. 180-240>. o  o o o o       O

Le festoeo dei santi accreso cono la comprensione di questa produzione Lignea ricca di figure suggestive che denunciano i sentimenti semplici e chiari di coloro che vollero i simulacri dei santi per adornare gli altari, al fine di riversare su loro invocazioni, speranze e suppliche. La storia o religiosa del Gòceano non va considerata comunque come storia a sé, né come corpo separato da influenze ed interferenze della società civile (De Rosa 1990, p. VII). La devozione per un santo nel Goceano ha una relazione con Le richieste della gente, per cui vanno comprese le situazioni sociali depresse, segnate da epidemie e carestie vissute dalla popolazione. A ciò si aggiunga l'incidenza della normativa tridentina con L'apporto sensibile delle confraternite uscite dai collegi dei Domenicani, senza tralasciare la struttura dei patronati ecclesiastici (De Rosa 1990, p. VII).

Le sculture del passato presenti nelle chiese, comprese quelle cam­pestri, denotano per lo più la mano di artefici locali talvolta acculturati sulla produzione più aggiornata dell'epoca, talaltra chiaramente nazf e raramente continentale.

Nell'offrire un quadro diacronico di questa statuaria lignea si inizia con il Crocifisso della chiesa parrocchiale di Bottidda, il quale, nonostan­te La tradizione Lo voglia risalente al secolo XIV, denuncia un linguaggio più prossimo al Quattrocento, da attribuire ad un artefice dell'Italia meridionale piuttosto che ad uno sardo. Scarsi sono esempi analoghi nella nostra Isola; le opere di quell'epoca presentano peculiarità d'inta­glio diverse da questa in esame: la figura del Cristo è slanciata, model­lata con perizia e con pieghe non banali nel disegno del perizoma.

D'impronta provinciale e di derivazione iconografica tradotta dai retabli ispano-fiamminghi, realizzati in Sardegna tra lo scorcio del Quattro e gli inizi del Cinquecento, è il simulacro di S. Michele arcangelo dell'analoga chiesa di Bono. La sua immagine risulta statica, ferma nel gesto dell'abbattimento del Demonio per mezzo della lunga lancia. Posto sopra quel corpo, che tenta di resistere inutilmente al colpo mortale infertogli, Michele non lascia trasparire alcuna emozione per l'atterramento del simbolo del male, ma nel volto fanciullesco, ingenti­lito da copiosi riccioli dorati, traspare un candore che lo rende estraneo all'atto compiuto. I caratteri della scultura riecheggiano il tardo gotico con tendenze verso l'arte popolareggiante, non fosse altro per la ierati­cità con cui si palesa la figura in grandezza naturale, coeva a quella dei retabli cinquecenteschi da cui venne rielaborata (Serra 1990; Zanzu -Tola 1992, p. 117).

Il Crocifisso della Parrocchiale di Illorai ha i segni tangibili del fare vemacolare; il corpo denuncia schematizzazioni nei dati anatomici, mentre il volto è reso espressivo da un taglio vigoroso. Il perizoma, arti-colato con geometrica simmetria nella distribuzione delle pieghe senza profondità, e la croce di tipo medievale, sulla quale è innalzato, incline­rebbero verso una realizzazione fra la fine del Quattro e gli inizi del Cinquecento.

La Pietà della chiesa di S Elena di Benetutti compare citata soltanto nei documenti seicenteschi dell'archivio parrocchiale, come conferma Giommaria Farina che ne ha curato lo spoglio (Fig. 1)

 Fig. 1 - La pietà chiesa parrocchiale Benetutti

Fig. 2  - La vergine e S. Anna Anela

D'impronta provinciale e di derivazione iconografica tradotta dai retabli ispano-fiamminghi, realizzati in Sardegna tra lo scorcio del Quattro e gli inizi del Cinquecento, è il simulacro di S. Michele arcangelo dell'analoga chiesa di Bono. La sua immagine risulta statica, ferma nel gesto dell'abbattimento del Demonio per mezzo della lunga lancia. Posto sopra quel corpo, che tenta di resistere inutilmente al colpo mortale infertogli, Michele non lascia trasparire alcuna emozione per l'atterramento del simbolo del male, ma nel volto fanciullesco, ingentilito da copiosi riccioli dorati, traspare un candore che lo rende estraneo all'atto compiuto. I caratteri della scultura riecheggiano il tardo gotico con tendenze verso l'arte popolareggiante, non fosse altro per la ierati­cità con cui si palesa la figura in grandezza naturale, coeva a quella dei retabli cinquecenteschi da cui venne rielaborata (Serra 1990; Zanzu -Tola 1992, p. 117).

Il Crocifisso della Parrocchiale di Illorai ha i segni tangibili del fare vemacolare; il corpo denuncia schematizzazioni nei dati anatomici, mentre il volto è reso espressivo da un taglio vigoroso. Il perizoma, arti-colato con geometrica simmetria nella distribuzione delle pieghe senza profondità, e la croce di tipo medievale, sulla quale è innalzato, incline­rebbero verso una realizzazione fra la fine del Quattro e gli inizi del Cinquecento.

La Pietà della chiesa di S Elena di Benetutti compare citata soltanto nei documenti seicenteschi dell'archivio parrocchiale, come conferma Giommaria Farina che ne ha curato lo spoglio (vedi Immagine)

La diade madre-figlio riflette la tipologia nord europea diffusa largamente nel secolo XV con un linguaggio riconducibile tuttavia alla plastica tardo manieristica di ambito ispanico; ma soltanto dopo un accurato restauro si potrà defi­nire meglio la sua provenienza.

Il Crocifisso della parrocchiale di Esporlatu si configura invece nell'arte popolare locale manifestando, da parte dell'ignoto intagliatore, una rielaborazione seicentesca con riverberazioni renane del XII secolo presenti sia nell'Italia meridionale, sia in ambito senese(Nessi - Martini 1985, pp. 19-23). Potrebbe comunque trattarsi di una coincidenza, seb­bene per alcuni aspetti rievochi nel modello del busto (gli arti e il peri­zoma si differenziano nettamente) il periodo tardo ottoniano del Crocifisso in bronzo della chiesa di S. Croce a Castello in Villa, di Castelnuovo Berandegna. L'opera di Esporlatu manifesta il persistere di iconografie medievali, quindi molto arcaiche, sino al secolo XVII.

La Dormitio Virginis, egualmente della chiesa parrocchiale di Esporlatu, va inclusa tra la fine del Cinque e gli inizi del Seicento per reminiscenze rievocanti il secolo XVI. Essa, benché possegga una regalità riscontrabile nelle figure femminili scolpite sui sarcofagi tardo gotici, è ascrivibile ad un artefice sardo attento alla descrittività dei particolari esornativi di modelli assunti dal repertorio figurativo piuttosto che da quello plastico.

Il Cristo deposto della parrocchiale di Bultei rivela nelle notazioni evidenti del costato, nel rigonfiamento del ventre e nell'organizzazione dei panneggi del perizoma un compiacimento tardo gotico protrattosi sino agli inizi del Seicento. La scultura di S. Pietro di Bultei, conservata nell'omonima chiesa, si crede importata da una bottega provinciale dell'Italia meridionale nel Seicento, ma le abbondanti ridipinture ne falsano la lettura corretta, rimandando ad uno studio più attendibile dopo l'avvenuto restauro. Vemacolare e della medesima epoca è S. Antonio abate dello stesso centro di Bultei, le cui riverniciature attestano smacca­tamente un intervento empirico intorno agli anni Cinquanta, mantenuto ancora vivo con continui ritocchi riproducenti ancora quel gusto decorativo.

Della Dormitio Virginis di Nule, di cui si c6noscono altre opere analoghe nel territorio in esame, si coglie il particolare del manichio rive­stito, ove tutto l'impegno dell'artefice della fine del Seicento è incentrato sul volto e sulle mani, condotte con padronanza di mestiere sull'esempio di modelli spagnoli.

La Vergine e S. Anna della chiesa parrocchiale di Anela rispecchiano la sensibilità interpretativa popolaresca locale, ravvisando nel a rappresentazione dei simulacri di Cosma e Damiano consonanze stilistiche che apparenterebbero i due complessi scultorei lignei (Fig. 2). La Vergine Maria, lungi dall'apparire bambina, come nelle più abituali iconografie sullo stesso soggetto, risulta già adulta, oltre ad essere più simile alla figura di una fantesca mentre riceve i rimproveri dalla propria padrona. S Anna a sua volta si mostra arcigna, con forme larghe predisposte ad infonderle un aspetto maggiormente autoritario e prepotente. Quale fonte d'ispirazione abbia avuto l'autore delle due sculture è difficile immaginare; conquista tuttavia questa sua libera interpretazione di un'immagine sacra tanto reiterata soprattutto nel Settecento. Anche S Lorenzo, forse coevo all'opera precedente, appartiene alla stessa parrocchiale di Anela, ma rivela caratteri provinciali esemplati su modelli colti in ambito sardo.

S. Timoteo, custodito nella chiesa di Anela a lui dedicata, è ricoperto da uno strato talmente spesso di vernice da inficiare una lettura obietti­va dell'opera. La devozione popolare deve avere indotto l'aggiunta di colore a colore per mascherare i guasti del tempo; si ritiene tuttavia d'inscrivere l'intaglio agli inizi del Settecento e d'assegnarlo ad artigia­no locale che gli donò un volto da fanciullo con abiti da guerriero.

S. Efisio, custodito nella chiesa di Bono della quale è titolare, ripropone l'anima popolare della cultura artistica del Coceano; e per offrire un tono maggiormente vernacolare alla scultura è stata predisposta per il Santo una specie di mantellina intessuta di perline: opera delle devote del luogo. L'aspetto di S. Efisio è stato ritoccato nel tempo trasforman­dolo un po' da "moschettiere" con baffi e pizzo: una figura con un tocco originale, amata dai devoti al punto da resistere al mutare delle mode rimanendo, al contrario di altri simulacri, sempre esposta al culto dei fedeli.

Sorte diversa ebbe S. Elena della parrocchiale di Benetutti in quanto dovette lasciare la nicchia, al centro dell'altare maggiore, ad altre imma­gini ritenute nel nostro secolo più appropriate alla devozione. L'antica scultura lignea di S. Elena ha un volto di bambina dall'aria trepidante, vestita in maniera monacale con la sola civetteria dello svolazzo nel mantello ricadente davanti la veste. Si è lontani dall'immagine regale della Santa presentata dal "Maestro di Ozieri" per il retablo della stessa chiesa. Elena, assisa con la corona sul capo velato, ha nel dipinto citato l'autorevolezza che la storia e la tradizione agiografica le hanno assegnato; pertanto non si può credere che l'intagliatore si sia ispirato a quest'ultima figura per il suo simulacro seicentesco di dimensioni inferiori al vero.

S.    Gavino della parrocchiale di Illorai ha un'intonazione provinciale settecentesca con un irresistibile espressione languida nel volto e un descrittivismo dettagliato nella veste di guerriero romano.

Autentica vena autoctona, sottolineata da un'inclinazione per il les­sico popolaresco, si scorge nel S Giorgio a cavallo (Fig. 33) mentre uccide il drago (Anela, proprietà privata); le forme un po' goffe, schematiche e rigide infondono al complesso equestre una qualità espressiva eccezio­nale, tanto da farne il paradigma di un patrimonio plastico ligneo sempre più difficilmente rintracciabile in Sardegna. Questa produzione, tra­scurata dagli studiosi, esige per contro un'inventariazione e un adegua­to recupero fisico e culturale delle opere. Si è di fronte ad un'arte minore che si presenta come fenomeno specifico con modalità pro­prie di linguaggio, la quale richiede un impegno euristico indirizzato a chiarire il rapporto esistente fra il popolare demologico, legato alla sto­ria sociale dell'espressività subalterna, e l'arte popolare semiologica, calata nelle strutture del linguaggio delle opere esistenti nel territorio. Se si volesse trovare la vera anima artistica delle genti isolane nei secoli xvII-xvIII si dovrebbe cercare qui, in questo mondo pastorale, conno­tato da simulacri che presentano volti ieratici, piani semplici e volumi non elaborati: sommesse testimonianze di una statuaria devozionale dalle forme ingenue, tenere e commoventi per l'autenticità dello spirito con la quale furono create. Nell'Anglona, nel Logudoro, nella Nurra e nella Gallura sono rari gli esempi di questo genere, l'indagine andrebbe estesa al Nuorese dove la ricerca specifica non è ancora iniziata. Purtroppo in passato l'attaccamento a tali opere ha fatto sì che molti parroci non prestassero la dovuta attenzione ai fondamentali problemi conservativi, affidandone il risanamento ad incompetenti. Improvvisati " restauratori" hanno posto zelantemente spessi strati di vernice su opere compromesse dai tarli, senza alcun rispetto per le cromie origina-rie. Più che risanare si è trattato di celare guasti e lacune, alterando arbitrariamente quanto era stato trasmesso dagli artefici dei quali non si conosceranno mai i nomi.

           Campiture di colore acido rivestono indifferentemente crocifissi, madonne, santi, sante e martiri appiattendo ogni accenno di effetto chiaroscurale, ogni morbidezza d'incarnato, mostrando volti gessati, vesti, mantelli e corazze rozzamente appariscenti. E nonostante queste sculture risultino spesso più simili a marionette di teatro che a simula-cri sacri, posseggono ancora un loro fascino; esse sono il prodotto della tradizione religiosa popolare, l'emanazione di un risentito paganesimo inconsapevolmente vissuto nel sincretismo cristiano.

            Solo alcune sculture del Sette e dell'Ottocento attestano una prove­nienza diversa con connotazioni riconducibili stilisticamente ad una produzione con intonazioni neobarocche; si vedano Santa Margherita di Bultei e il Cristo risorto della medesima chiesa parrocchiale, pervasi da enfasi che riconducono ad effetti magniloquenti cari al periodo della Chiesa trionfante dopo il periodo della Controriforma.

            Nel nostro secolo per ovviare agli inconvenienti del degrado delle sculture lignee furono acquistate dai parroci molte sculture in legno e in gesso che trovavano il consenso della popolazione per la ricerca dell'idealizzazione (Immacolata, Sacro Cuore di Gesù e altre) o del profondo pathos (l'Addolorata) corrispondenti ai sentimenti che dovevano ispirare ai devoti. Questa statuaria contemporanea è pervasa da una solennità teatrale secondo i canoni del primo ventennio del secolo. Un esempio è dato da un'altra S Elena di Benetutti nella quale si coglie un fare altero che incanta, un'inaccessibilità atta a porla fuori dal quotidia­no e forse per questo a renderla maggiormente attraente. Simili sculture sono purtroppo un prodotto realizzato in serie; esse, pur nella loro astratta bellezza, fanno rimpiangere gli intagli ingenui nascosti nelle sacrestie.