Usi e Tradizioni in Goceano

L'abbigliamento popolare del Goceano..

Lo studio dell' abbigliamento tradizionale del Goceano è favorito da un notevole complesso di dati offerti dalle fonti letterarie ed iconografiche ottocentesche, da vecchi documenti fotografici, dalle testimonianze orali, dagli ultimi esiti d'uso e di manifattura che ancora sopravvivono e dagli stessi indumenti conservati in discreto numero sia in collezioni pubbliche sia da privati cittadini. Le fonti letterarie sono molto vaghe e si debbono al  La Marmora, a Vittorio Angius e soprattutto a Baldassare Luciano.Svariati sono, invece, gli acquerelli, i dipinti, le stampe,riguardanti particolarmente la foggia di Bono, fra i quali si possono ricordare le immagini eseguite con varie tecniche dal Pinelli, dallo Sciuti (nell' affresco del Palazzo Provinciale di Sassari), dal Pittaluga,dal Manca di Mores, dal Dalsani ecc.Copiosa è anche la serie di cartoline e fotografie risalenti agli anni a cavallo del 900, più affidabili di stampe e acquerelli quanto a fedeltà documentaria tranne che per il cromatismo, spesso sovradipinto arbitrariamente.Tutti questi dati trovano conforto e sono validamente integrati dalla ricerca sul campo, che sì affida alla memoria popolare, alle testimonianze degli stessi ultimi fruitori del vestiario ed all' osservazione dei «costumi» pervenutici. Il quadro complessivo che ne risulta è sufficientemente preciso e stimola ulteriori ricerche ed approfondimenti.

Il vestiario femminile:
Vestiario maschile:
Gioielli: 
Bottoni:
Spille:
Anelli:
Collane e catene:
Rosari: 
Amuleti:
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Il vestiario femminile: Per quanto attiene al vestiario femminile, sostanzialmente simile sia nella versione giornaliera che in quella festiva, a parte l'uso di tessuti e decorazioni più raffinati in quest'ultima, si rileva una discreta uniformità nelle fogge della maggior parte dei centri del Goceano: Bono, Bottidda, Bultei, Burgos, Anela, Esporlatu, infatti, conservano un tipo di veste identico, con variazioni locali irrilevanti, date da piccoli dettagli, che tuttavia, nei diversi paesi avevano una notevole importanza e costituivano motivo di vanto quando appartenevano alla propria comunità e di scherno quando erano «segni» delle località vicine. L' abbigliamento di cui si tratta ha il suo elemento più caratteristico nell' acconciatura del capo, ottenuta con una particolare pettinatura: i capelli vengono attorcigliati ai lati delle tempie (sos cuccales} ed è presente una scriminatura centrale, in tempi più recenti laterale. Su questa «struttura» viene indossato su muccadore, un fazzoletto piegato a triangolo, più spesso bianco, modellato a soggolo ed annodato dietro il collo, e, superiormente, una benda inamidata, disposta con maestria mediante spilli, che conferisce all' acconcia tura un peculiare aspetto «a cornetta». Le vecchie fotografie attestano che ancora ai primi del Novecento il complesso copricapo comprendeva anche un fazzoletto di seta damascata con lunghe frange che, dalla benda sovrapposta, cadevano sul petto. Precedentemente la benda era quasi certamente meno rigida ed il modo di indossarla, più vario a seconda dei gusti di chi la indossava, ricordava le corrispondenti fogge del nuorese. Molto interessante è la denominazione locale della benda, tiazzola, in quanto già in un documento rinascimentale ed in un documento cinquecentesco riguardante la città di Sassari è citata la tiagiola, compresa, a quanto pare, sia nel vestiario maschile che femminile. Il termine rimanda al copricapo «a tovaglia» diffuso largamente in tutta Italia. La camicia, di tela di cotone più o meno fine, candida o «azzurrata», è del tipo privo di sottogonna e sovente ha uno spacco nel settore corrispondente alla schiena, si da dividere l' indumento in due parti, per facilitarne la stiratura. Questo indumento negli esemplari festivi è perfettamente eseguito ed ornato di preziosi ricami: le maniche amplissime, la generosa scollatura, le pieghettature che ne raccolgono l' ampiezza al collo ed ai polsi consentono di confrontar- la con modelli signorili della moda cinquecentesco. Tipico è il ricamo denominato bastonette che orna 10 scollo ed i polsi e viene eseguito a punti nascosti sulla pieghettatura fittissima del tessuto, i motivi esclusivamente geometrici che descrive, bianco su bianco, sono forse esito di Una simbologia perduta, e rammentano soprattutto i ricami delle camicie del nuorese e della Baronia. Come in questi ultimi indumenti anche in Goceano si hanno ulteriori trine ad ago, a punto asola, a punto in aria, a sfilato,jilet ed intaglio con decorazioni svariate, spesso floreali, la cui esecuzione virtuosistica testimonia una manualità affinata attraverso le generazioni. Sotto la camicia, per attenuarne la scollatura, viene indossata una sorta di canottiera orlata di pizzo, sa camisola, che anche dagli stessi ultimi fruitori dell' abbigliamento è sentita come elemento non strettamente tradizionale; si tratta probabilmente di un capo «moralizzatore», introdotto, come i varicoperipettus, istolas, pettieras di altre aree sarde, in seguito a pressioni del clero. Non è sopravvissuta invece, la sottogonna di tela bianca che nelle fonti iconografiche sporge dall ' orlo inferiore della sottana. Pertanto Testa da appurare se in realtà si trattasse di un indumento separato o se la camicia avesse la sottogonna cucita al punto vita, come avviene nel Logudoro e nella Barbagia di Belvì. Il giubbetto, detto corittu o curittu, è sempre sovrapposto alla camicia ed è eseguito in panno di lana rosso o nero e variamente orlato con nastro di seta operata e, in tempi via via più recenti, in seta ricamata o dipinta, accostati a velluto di sèta finissimo, talvolta fastosamente ricamato. Caratteristiche sono le maniche, squartate in modo da evidenziare l' ampia camicia, e la serie di asole agli avambracci, chiuse da bottoni d' argento più o meno preziosì assìcu rati a lunghi nastri. E' probabile che alcuni giubbetti potessero essere indossati anche alla rovescia. Il busto, sempre portato sopra il corittu, nelle illustrazioni ottocentesche e in alcune fotografie si presenta allacciato sin sotto il seno con nastri, come avviene nel Logudoro e nel Monte Acuto, ma sin dai primi del 1900 ha assunto carattere esclusivamente ornamentale con un' allacciatura meno evidente. E' quasi certo, comunque, che nell’ 800 questo indumento fosse più rigido e meno ridotto ed assomigliasse agli imbustos logudoresi. Negli esemplari pervenutici, spesso double face, si osservano due parti simmetriche munite di esili spalline ed unite al centro, in corrispondenza della schiena, con due sottili nervature di nastri intrecciati. L'omamentazione è varia e ricercata, negli esemplari di gala naturalmente, e formata da intarsi di sete, rasi, foglie marezzate, terziopelo, velluti di seta, broccati, arricchiti da elaborati ricami floreali o da pittura ad olio. Era previsto comunque, che l' orlatura del busto e del giubbetto fossero analoghe. Le gonne in un passato recente erano eseguite utilizzando orbace locale, marrone o granato, (venivano chiamate su furesi) e, stando alI' affresco dello Sciuti e agli acquerelli del primo Ottocento, in quel periodo dovevano avere balze di diverse altezze, anche molto strette. Successive modificazioni hanno portato all'uso esclusivo di panno di lana nero e all ' adozione di un' altissima balza che nelle versioni cerimoniali adotta stoffe pregiate: lampassi, damaschi, raso , di seta, velluto, broccato ed è talvolta adornata con ricami floreali o con motivi dipinti. In queste sottane colpiscono la ribattitura a pieghe fittissime nella zona posteriore della vita e le ampie pieghe che la movimentano sino all ' orlo inferiore ove ordinariamente si ha una stretta bordura simile a quella che adorna busto e giubbetto. Le tasche, a sacco, vengono cinte sotto la gonna mediante nastri e risultano accessibili attraverso due fessure verticali della sottana che, celate dal grembiule, consentono anche di stringere oampliame il giro vita seguendo le modificazioni che il tempo impone al corpo della proprietaria e permettendo di far indossare il prezioso indumento a individui di taglie diverse. Il grembiule, che per le cerimonie viene confezionato preferibilmente nel medesimo tessuto della balza della gonna, è rettangolare, lungo, increspato e pieghettato in alto, talvolta fermato «a nido d'ape» e si allaccia mediante nastri. Da diversi documenti iconografici parrebbe che sino alla fine del secolo questo indumento fosse di dimensioni ridotte e di sagoma decisamente trapezoidale. Nell'uso festivo e soprattutto nelle nozze si osserva la presenza di un lungo nastro con fiocco che, applicato alla vita, simulava l' allacciatura, in effetti più semplice, del grembiale. Quanto alle varianti che caratterizzano i singoli centri, come si è accennato, è dato di distinguere sfumature di scarso rilievo, quali la maggiore ricchezza di ricami nel caso di Bono, la preferenza per colori pastello o sgargianti a Bultei o per decorazioni dipinte ad Anela, ma la struttura generale dei «costumi» e gli espedienti di taglio sono sempre i medesimi. Significativi cambiamenti nel cromatismo si hanno in caso di lutto: ad eccezione della camicia, che resta bianca, la vedova indossa indumenti neri, e spesso ricorre alla tintura dell'abbigliamento festivo. Bende marrone venivano indossate per lutti meno gravi o per la morte di bambini. Oggi le esigenze di «far spettacolo» dei gruppi folkloristici o il desiderio di sfoggiare una tenuta particolarmente preziosa ha portato all' aggiunta indiscriminata di decorazioni dipinte (per lo più fiorami bianchi e verdi) o ricamate sul «costume nero», che secondo la tradizione invece doveva essere molto sobrio. L' abbigliamento quotidiano utilizza stoffe andanti, colori meno smaglianti, decorazioni modeste e, sovente, orbace grossolano per la sottana. Soluzioni intermedie, quanto a tessuti e decorazioni in occasioni non importantissime erano date dalla possibilità individuale di disporre di una quantità più o meno elevata di indumenti di ricambio: per 1 'uso domenicale, per le visite, per il mezzo lutto, per partecipare ai funerali, per le processioni della Settimana Santa alternando alcuni capi si creavano tenute meno dimesse dell'abbigliamento giornaliero e da fatica, ma non così sfarzose come quelle delle feste maggiori. Oggi, essenzialmente presso le donne di mezza età, si osserva- no gli ultimi esiti di questo «sistema di abbigliamento» e nell'uso ordinario si è verificata la sostituzione del complesso camicia, busto, giubbetto con camicette, bluse, maglioncini commerciali (a parte diverse sopravvivenze, naturalmente) e si è diffusa la moda di sottane increspate confezionate con stoffe leggere e facilmente lavabili. Questo, in sintesi, è quanto si può rilevare sul vestiario femminile che può essere definito più propriamente goceanino, ma a Illorai, Nule e Benettutti si segnala la presenza di fogge leggermente diverse, già notate da Vittorio Angius nella prima metà del 1800, quando osservava che le donne di Nule preferivano il rosso per le sottane mentre quelle di Bono amavano l' azzurro (evidentemente si tratta della balza). A Benetutti e Nule si rileva anche la contrapposizione fra le fogge festive delle «dame», esclusive del ceto abbiente, e quelle delle popolane, secondo un «codice» che ribadiva e manifestava visivamente lo status delle proprietarie. L' abbigliamento decisamente popolare nei due centri è caratterizzato da intarsi di stoffe diverse, secondo linee geometrizzanti. Tutto questo pare denunciare sia influssi culturali diversi sia un assetto sociale particolare che contrassegnano Nule e Benetutti rispetto agli altri centri del Goceano mentre per Illorai si può parlare di somiglianze e contatti con i «costumi» del Marghine.

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Vestiario maschile: L' abbigliamento maschile, caduto in disuso prima di quello femminile, a parte i revivals dei gruppi folkloristici, non mostra notevoli differenze rispetto a quello generale dell' isola e si avvicina ai tipi delle regioni confinanti: Logudoro, Monte Acuto, Marghine, circondario di Bitti, benchè attualmente abbia spesso subito riadattamenti e trasformazioni che tendono a renderlo più ricco con soluzioni decorative che lo accostano a quello femminile. Queste soluzioni, per quanto recenti lo rendono abbastanza riconoscibile. In effetti le antiche illustrazioni e le fonti orali attestano un' originaria sobrietà, data da accostamenti di bianco e nero sui quali spiccava, al massimo, un tono di colore dato dal giubbetto: violaceo, granato, marrone, blu, petrolio ecc. Il giubbetto era sempre di velluto liscio sul davanti e di panno rosso sul dorso ad eccezione delle vesti dei proprietari, che spesso preferivano il velluto operato; la chiusura era del tipo a doppio petto con file di bottoncini passanti entro asole. Prevalgono i modelli privi di maniche, ma non mancano quelli provvisti di maniche squartate chiuse con buttones, come nei giubbetti femminili." Costante era la presenza di giacche d'orbace nero munite di cappuccio e decorate con velluto nero impunturato; a Nule le maniche della giacca sono completamente rivestite di velluto. E' da sottolineare la rapida scomparsa delle ragas sin dai primi del 1900 e l' adozione di calzoni lunghi di sapore cittadino ancorchè confezionati con orbace nero.

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  Gioielli: Il corredo di gioielli che accompagna il vestiario tipico del Goceano non è particolarmente vario, formato com' è ,quasi solamente da spille, bottoni, anelli, rosari e, raramente, da collane o catene. Le fonti potrebbero suggerire una maggiore varietà e ricercatezza, sottoquesto profilo, per il passato, ma è bene considerare che le vecchie fotografie ove, ad esempio, compaiono numerosi bracciali ed un eccesso di ori, rappresentano quasi certamente «signore» travestite con fogge «abbellite» arbitrariamente con gioielli non pertinenti. La quasi esclusiva presenza di bottoni e spille fa pensare ad un uso funzionale del gioiello, ma non fa escludere altre valenze: rituali, segniche, simboliche, suntuarie ecc. Si sa che in quasi tutti i centri s' oraria costituiva dogo di fidanzamento o nuziale, che particolari norme non scritte ne regolavano la trasmissione ereditaria e che le occasioni più importanti del ciclo della vita erano il momento principale per sfoggiare i gioielli più elaborati. Ma, tornando al significato funzionale, i bottoni, indispensabili per chiudere il giubbetto e la camicia, venivano portati anche nelle vesti giornaliere ed anche nel caso di lutto, quando si assisteva ad un ridimensionamento ed ad una semplificazione di tutto l' abbigliamento.

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Bottoni: Otto bottoni, legati ad un lungo nastro, chiudono le asole del , "Su corittu", in ciascun avambraccio, nei costumi di Bono, Bultei, Anela, ecc. Sono sempre d'argento e rientrano in diverse tipologie. Si riscontrano: l' arcaica forma sferoidale in lamina intiera con granulo saldato all' estremità, forse di ascendenza rinascimentale, come farebbero pensare reperti da Galtellì, Posada, Sassari, San Giorgio di Aneletto-Anela; la forma «a melagrana» in filigrana a giorno con granuli e pasta vitrea incastonata alla sommità; quella in tecnica mista, con filigrane a giorno e a notte, e la forma di pigna o di bacca schiacciata, con ampio uso di cordelle, granuli e con pietre incastonate che nelle diverse lavorazioni denunciano varia provenienza. In taluni centri i bottoni più modesti e soprattutto quelli a lamina intiera sono-destinati all'uso quotidiano o al lutto, in altri al vestiario delle donne meno abbienti. E' certo che la tecnica di fabbricazione assai facile indica la forma sferoidale come particolarmente antica: nell' affresco dello Sciuti, già citato, la donna di Bono, per la quale l' autore si ispirò certamente ad un abbigliamento già allora( 1876) in disuso, non a caso è adornata con bottoni sferici anche nella camicia. Nell'uso appena cessato o che va esaurendosi, invece, per la camicia, particolarmente nelle occasioni festive, è prevista la chiusura con gemelli d' oro, sempre in filigrana, per 10 più del tipo a bacca schiacciata con, calligrafiche applicazioni di cordelle e rombi in lamina ed in tutti i casi con castone centrale che include una pasta vitrea o un granato.

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Spille: Le spille, a forma di losanga, eseguite sempre in oro, talvolta con diverse soluzioni tecniche che fanno risaltare le lamine e le cordelle che le costituiscono contrapponendo oro giallo, oro rosso, perline e paste vitree, incastonate anche mediante graffe, venivano usate per fermare e decorare la tiazola nelle occasioni cerimoniali. Il tipo rientra in una forma assai diffusa in Sardegna, ma non si , può affermare che sia un gioiello tipicamente sardo. Infatti la sua creazione si deve alle fabbriche di Valenza e di altre cittadine del Nord dell' Italia, ed è avvenuta alla fine del 1800, quando si tentarono esperimenti per la creazione di gioielli in serie da introdurre nel commercio in tutta la penisola. Questi esemplari, poi imitati anche localmente, sono quasi sempre eseguiti con lamine stampate in lavorazione semi-idustriale ed ebbero un grande successo perchè vistose, poco pesanti e quindi di costo contenuto e accessibile alle classi popolari e perchè per le forme «antiche», ma non eccessivamente caratterizzate, ben si adattavano ai «costumi» di diverse località. Ad ogni modo queste particolari spille sono entrate nell' uso tradizionale e sono così ben inserite nei costumi del Goceano che i rivenditori e gli orafi le definiscono come «spille di Bono».

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Anelli: Di esclusivo uso femminile, gli anelli, dono di fidanzamento o pegno nuziale o regali prestigiosi di cresima o battesimo, hanno forme svariate e sono sempre d' oro, quasi sempre con paste vitree incastonate, con decorazioni non troppo elaborate e vengono indossati in numero non eccessivo.

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Collane e catene: Catene d' oro con croce si osservano nelle vecchie fotografie e si sa che erano d'uso quasi esclusivo delle donne facoltose mentre alle donne del popolo erano riservate collane di corallo rosso; il loro uso è cessato, sostituito poco opportunamente da catenelle e medagliette di tipo commerciale.

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Rosari: Rosari d' argento in filigrana con croci, medaglie, paste vitree, coralli o granati erano usati, ma, parrebbe, non largamente in Goceano. Avevano una certa diffusione anche i rosari in madreperla a vaghi infilati (rosarios de terra santa).

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  Amuleti: Non si osserva una presenza rilevante di gioielli -amuleto, anche se non si può escludere un loro uso marcato in passato. A Benetutti è dato di trovare, conservati presso alcune famiglie, tubuli d' argento sospesi a catenelle e muniti di sonagli apotropaici. Queste fiale, dette nuscheras, erano destinate a contenere essenze profumate, ma avevano anche valore di amuleti. Conclusioni Da questo quadro sommario, benchè siano necessari ulteriori approfondimenti e verifiche, emerge che in Goceano fra 800 e 900 confluiva una discreta rete di traffici commerciali che, finalizzati all'approvvigionamento di tessuti e materiali utilizzati per la mani- fattura dei «costumi», penetravano in un ambiente conservativo ed in un' economia chiusa. Già nella prima metà dell'800, come testimonia l' Angius, la tessitura esercitata nelle case sui telai tradizionali produceva esclusivamente «pannilani» (orbace) e tele di lino o canapa, dei quali si faceva anche commercio con l' esterno, ma assolutamente insufficienti quanto a caratteristiche merceologiche e cromatiche a conferire quel fasto e quella policromia che, in misura crescente man mano che ci si avvicina agli anni a cavallo de11900, richiedevano le occasioni cerimoniali, soprattutto per i ceti abbienti, i quali con  l'abbigliamento ribadivano il loro status. Così, attraverso Sassari, Ozieri, Nuoro e tramite il commercio ambulante pervenivano in Goceano i costosi velluti di seta, operati o lisci, offerti da manifatture bolognesi e tedesche, i broccati e gli organzini piemontesi, le sete di Corno, 10 «scarlatto» della Francia, Germania e dell' Italia Settentrionale, tessuti ai quali si deve quasi totalmente la policromia ed il fasto dei «costumi sardi». Naturalmente la manifattura, il taglio, l'esecuzione dei ricami era eseguita in loco, spesso da artigiane specializzate per singoli capi, e si attuavano, così, quelle operazioni che consentivano di trasformare materie prime di larga diffusione in manufatti peculiari, caratterizzati da uno spiccato ed inconfondibile gusto locale. Allo stesso tempo i gioielli, visto che pare non esistessero scuole orafe in loco, venivano acquistati a Nuoro, a Sassari, a Rosa, a Cagliari, scegliendoli fra quelli che potevano essere, adattati all' abbigliamento locale, il che spiega la loro discreta varietà di forme.

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