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Il Castello di Burgos

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IL CASTELLO DI BURGOS


Fra i tanti castelli che Pisani, Genovesi, i Doria, i Malaspina e i Giudici costruirono in Sardegna a salvaguardia dei loro domini, quello del Goceano" chiamato ora -come in altra parte ho detto -Castello di Burgos dal nome del paesetto che gli vive accucciato ai piedi, è il  più ricco di storia e quello più saturo di ricordi, molti dei quali dolorosi. Molte antiche leggende aleggiano intorno a questo Castello.

Secondo il Lamarmora -il quale poco più d'un secolo fa visitò questo castello, lo studiò, riuscendo anche, ad indivi- duarvi lo stemma del Giudice del Logudoro -e secondo le voci di altri studiosi, la costruzione risale agli anni 1127-1129 e la si attribuisce a Gonario di Torres, il Santo, poco dopo aver vinto la potente famiglia degli Arzeni della quale era stato perseguitato da fanciullo, e in seguito sempre apertamente combattuto.

Il Castello sorge -come ho già detto -su d'una rupe di granito completamente isolata, inaccessibile a nord e ad est per la natura del luogo e di difficile accesso anche dalle altre parti. Occupava una vasta area, era circondato da una triplice cinta di mura- delle quali si possono anche oggi osservare gli avanzi -costruite con blocchi di granito e mattoni e rivestite pure di mattoni resi aderenti con la malta. A centro della vasta corte s'eleva, quadrata e massiccia, la grande torre. Questa, al contrario delle mura, è costruita di soli mattoni, ma, allo esterno, è interamente rivestita di lastre di granito ben lavorate, il tutto legato con foltissima malta. Vi è pure, ancora in ottimo stato, una grande cisterna, costruita per raccogliere le acque che dovevano servire e per gli usi casalinghi e per le bestie.

Era un maniero sicuro. Infatti nel 1194, quando si accesero le rivalità tra il Giudice di Cagliari Guglielmo di Massa ed il Giudice Costantino di Torres, quest'ultimo giudicò conveniente mettervi al sicuro la moglie, la virtuosa e bella Prunisenda, lasciandovi solo a presidio una piccola schiera, stimata più che sufficiente a salvaguardarlo da ogni assalto. Costantino col grosso delle truppe si era portato nei punti più minacciati delle sue terre. Sennonché Guglielmo -che la  leggenda descrive malvagio e sensuale -eluse il buon Costantino e con un forte nerbo di cavalleria, a spron battuto, si portò nel Goceano, sorprese la schiera di Costantino in prossimità delle Terme di Benetutti. l'attaccò d'improvviso, l'annientò e prese il castello d'assalto, trucidando i pochi difensori, facendo prigioniera la regina, che, dopo averla violentata, trasportò in un altro Castello ove la bella e fedele Prunisenda morì di dolore per l'onta subita. Gli antichi cantastorie, intorno a questa triste vicenda, cantano:

« I demoni, quando Guglielmo mori, inorriditi per la crudeltà commessa ai danni di Prunisenda, non vollero accogliere nel proprio regno l'anima del Giudice. Così, oggi, lo spirito di Guglielmo, senza pace, erra di giorno tra i boschi di quelle montagne, portando malefici, e di notte s'aggira tra i ruderi del Castello, inseguito, colpito da stormi di uccellacci immondi, urlando ai quattro venti il suo peccato ed invocando la virtuosa Prunisenda, che venga a liberarlo. Perciò quando sinistro soffia il vento ed il cielo brontola minaccioso, la gente dice: « E' l'anima dannata di Te Guglielmo! ».

Dopo questo fatto la guerra continuò accanita fra i due Giudici. In ultimo Costantino chiese aiuto a Pisa, offrendo a garanzia delle molte promesse fatte alla Repubblica, il castello di Monteverro.

Nelle trattative di pace intervenne il legato pontificio e soprattutto per l'intervento di questo, la pace fu conclusa. Pisa, che anche in quella occasione volle avere la parte del leone, pretese da Guglielmo il castello del Goceano. Lo ebbe. Costantino non inghiottì il rospo e, quando si fu di nuovo ben consolidato nel regno, riprese le armi e occupò il Castello avito, non curante delle minacce di Pisa e di Guglielmo.

Nel 1233, le mura del Castello furono testimoni di un altro orrendo delitto. Vi si era ritirato Barisone di Torres, e Ubaldo Visconti, bramoso di impadronirsi del Giudicato, assoldò alcuni sicari e ve lo fece uccidere. Ubaldo mori poco dopo e la vedova di lui, Adelasia, descritta come donna di rara bellezza, andò sposa ad Enzo, figlio dell'Imperatore Federico II Fu questo un matrimonio  d'interesse perché, mercè queste nozze, Enzo si ebbe il titolo di re di Sardegna. Ma Adela sia fu donna infelice, perché il marito presto l'abbandonò. Quando Enzo, poi, cadde prigioniero dei Bolognesi nella battaglia di Fossalta -e non riebbe più la libertà-  Adelasia visse per lungo tempo volontaria prigioniera nel Castello del Goceano.

Nel « Libellus Judicum Turritanorum -Condagus de Sardinia » nel capitolo « De Donna Alasia Juguessa de Logu-doro » , leggiamo :

« Restende battia sa dicta donna Alasia, mugere de Jugue de Gallura et de Logudoro in su casteddu de Monte Agudo, passait su Archiepiscupu de Turres, clamadu donnu Aspasiu, genoesu, et todos sos perlados et lieros da Logudoro et Jegue de Arvore, Jugue Pedru, decretaint coiare a sa dicta Juguessa donna Alasia cum sardu bonu de Sardinia o cun qualqui grande Seniore de terra manna, qui manteneret istadu de Logudoro.

In custu mesu, istende in unu pensamentu, ordinairi a sos de Oria ziu Manuele, Federicu et Principale, de goiarella cun su figiu de su Imperadore. Fuit in Lombardia: mandait imbaxadores a sa dicta donna Alasia narente qui li queriat dare su figiu, clamadu Entio, a maridu, pro cui haviat voluntade de conquistare tota sa Sardinia. Et venende appidu donna Alasia sa dicta ambaxada dae cussu imperadore, li plaquit de modu qui consitisit de fague su dictu matrimoniu. Et isquen de cussu, su dictu Archiepiscopu de Turris et sos Perlados et Jugue Pedru cun sos lieros de Logudoro, la cunsigaint qui non lu haveret fattu in modu perennu, pro cui it esset male pro issa, et sa ruina de su regnu. Sa dicta donna Alasia, non curendesi de sos consigios, fetit su matrimoniu a placuere sou. Fatu su matrimoniu, a contu d'esser donna istetit serva, qui mai più appisit bene. Et istende in su casteddu de Gosianu, isposiada de  ogni bene sou et penitendesi de su qui haviat fattu, isteit comente qui isseret in prexone, se li afferait una infirmitade qui si creiat de morrer; mandait a chiamare su prehigadore, clamadu "frate Pedru de Ardara et a Frade Seraphinu et si confessait cun issos, et fatta sa confessione, fetit venire su notaru et nait: "Leade attu, in presentia de custos padres, comente su Regnu de Logudoro fuit sou de Jugue Baldu su quali bi lu haviet ,datu et confirmadu Papa Gregoriu nonu et gasi matesi lu lasso, lu torro et restituo a sa  Santa Ecclesia Romana, quasi comente lu conosco da issa, guasi bogio qui inde siat herede cun totu sos benes mios pro qui non appo herede perennu, si non sa Santa Eglesia Romana francu sos franquesias et donos fattos a sas ecclesias et monasteros de Logudoro dae sos antiguos et dae me, j bogio qui cussos appan valore integralmente, cun ogni rexione jusero".

Migoriat de cussa infermitade, et istendesi in casteddu de Goseani comente este narradu, totus sos prelados et lieros de Logudoro istende attristados meda pro qui non podiant videre liberamente comente queriant, ne la batisin a su paladu de Ardara et passait inie bonu tempus. Si infirmait, et tandu mandait a chiamare su Episcopu donnu Aspasiu, su quale la confessait et fatta sa confessione fetit venire su notariu et confirmait su pactu qui haviat fattu nantes de padre Pedru de Ardara et de padre Seraphinu, et fatta qui appisit sa confessione, a pustis de pagas dies morisit, et fuit sepellida in sa ecclesia de Ardara, dae nantis de su altari Majore ».

Così finisce la storia della infelice regina, narrata e descritta, proprio come l'ho riferita, da un testimone oculare.

Fino a qualche secolo fa -è sempre la voce della leggenda-  nelle notti di luna piena, il popolo credeva che la buona regina si aggirasse tra i torrioni del Castello, mesta, contemplando le terre intorno, che un tempo lontano, indomita amazzone, percorreva sul bianco focoso destriero in compagnia del consorte Ubaldo Visconti e di una turba di devoti cavalieri alla ricerca di selvaggina, della quale, allora, quei luoghi erano ricchi. E pareva di sentire ancora la eco (lei corni da caccia correre di valle in valle.

E davvero ricchissimi di caccia erano allora quei luoghi. Un 'altra leggenda -ricordata questa da un detto logudorese, oggi interpretato alla rovescia- dice che i cinghiali erano cosi numerosi da costituire un vero flagello. Queste bestie, in certe epoche dell'anno, non trovando più da mangiare sulle montagne per il loro stragrande numero, si buttavano sulla pianura, devastando i pochi campi coltivati e, resi feroci e ciechi dalla fame, penetravano perfino nei borghi a branchi di centinaia i cittadini, all’approssimarsi di essi, terrorizzati, riparavano sui tetti. Il principale alimento dei contadini era costituito solo da un pugno di fave ed in maggior parte da carne di maiale.

Dicono, ora, i logudoresi, per ricordare un periodo di benessere: “Due laldi e un fa! “. Ma il detto, come sopra ho accennato. è interpretato alla rovescia, indicando esso non abbondanza, ma carestia. Il Giudicato del Logudoro, intanto, minato da lotte intestine, che Pisani e Genovesi non cessavano di alimentare, seminando zizzania tra i nobili sardi, anch'essi non privi di ambizioni, si andava rapidamente avviando alla decadenza, ed il Castello del Goceano finì per cadere in potere dei Doria, già padroni d'importanti feudi in Sardegna. Intanto il Giudice d'Arborea, seguendo una abile politica, quella medesima che dai Savoia qualche secolo dopo fu chiamata la politica del “ carciofo “, andava incorporandosi pezzo per pezzo questa o quella contrada col fermo proposito di riunire sotto il suo scettro tutte le genti dell'Isola e creare un forte stato. Perciò il Giudice d' Arborea, colto il momento favorevole, assalì il Castello del Goceano, se ne impadronì, lo fortificò così bene che quando i Pisani, nel 1324, lo assalirono, ne vennero respinti con forti perdite. Nel frattempo erano entrati in ballo gli aragonesi, ai quali Bonifazio VIII aveva assegnato la Sardegna, investendone re Don Giacomo d' Aragona per l'annuo censo di 2000 marchi d'argento (1297). Il Giudice d'Arborea Ugone IV, nemico acerrimo di Pisa, la quale non aveva voluto riconoscere la sua assunzione al trono perché lo considerava “bastardo”, visto che gli Aragonesi non si decidevano a venire in Sardegna per abbattere la potenza pisana, mandò messi a Don Giacomo, sollecitandolo all'impresa e promettendogli aiuti in uomini armati e danaro. Don Giacomo accettò, e mentre preparava la spedizione, Ugone, con il suo esercito già in armi, invase il cagliaritano, assalì i Pisani ed inflisse loro una grave sconfitta presso Sanluri, riuscendo a prendere anche il castello di quell'importante paese. Ma la battaglia decisiva avvenne presso Elmas, ove i Pisani, sconfitti dagli eserciti collegati dei Doria, Malaspina, Arborea, Aragona e del Libero Comune di Sassari, furono costretti a rinchiudersi nel castello di Cagliari che essi stessi, precedentemente, prevedendo l'attacco, avevano fortificato. Dopo poco più d'un anno d'assedio. i Pisani capitolarono e per sempre lasciarono la Sardegna ( 1325) .

Nel 1328, in occasione della sua assunzione al trono, il re Alfonso d' Aragona, confermò ad Ugone, suo compagno d'armi nella lotta contro Pisa, il possesso del castello del Goceano e dieci anni dopo lo stesso re nominò Mariano d' Arborea conte del Goceano, facendogli assegnare il castello con tutto il territorio intorno.

Mariano, succeduto al padre nel Giudicato, continuò la politica paterna: schiacciare i nemici, servendosi dei nemici stessi. Perciò, fingendosi amico di Pietro IV d' Aragona, il Cerimonioso, aizzò contro di lui i Doria ed i Malaspina, malcontenti del re, mandò in loro aiuto, si crede, nascostamente degli armati.

Nella guerra che ne seguì, gli Aragonesi, nella località “Aidu de turdu”subirono una grave sconfitta, ebbero l'eser- cito distrutto e lo stesso duce, Guglielmo de Cervelon, trovò la morte in combattimento. Mariano, all'annunzio di questa battaglia e dell'esito di essa, accorse sul luogo, raccolse il cadavere del generale e lo fece trasportare al Castello del Goceano, ove gli diede onorevole sepoltura (1347).

Nel 1353, Mariano IV credete giunta la sua ora. Così, prendendo pretesto' dei fatti di Alghero, dichiarò guerra al re Pietro e per avere le mani libere ed agire con le spalle al sicuro, rinchiuse nel Castello del Goceano il fratello Giovanni, troppo ligio ad Aragona. Durante questa guerra il re Pietro diede il Castello al sardo Valore de Ligia, il quale, staccatosi , da Mariano, aveva abbracciato la sua causa. Ma questa fu una assegnazione simbolica, perché il sardo traditore non divenne mai padrone del Castello, rimasto sempre, fino a dopo la morte di Eleonora d' Arborea, in saldo potere dei d'Arborea.

Nel 1410, il re nominò conte del Goceano, e quindi padrone anche del Castello, il già marchese d'Oristano Cubello. Sotto di lui, il Castello, che aveva perduto molto della sua importanza, venne occupato da un celebre bandito, Bartolo Manno.

Le cronache sarde dell'epoca sono ricche delle gesta di questo bandito. Egli viene descritto uomo senza scrupoli, crudele ma intelligente, astuto, valoroso. Bartolo aveva riunito intorno a sé una forte masnada di furfanti e con essi seminava il terrore fra quelle genti, esigendo tributi ed onori sovrani. Il marchese d'Oristano gli mosse una vera guerra, riuscì a bloccarlo nel Castello, ove Bartolo venne ucciso a tradimento dai suoi, i quali speravano di venire trattati con clemenza dal Marchese.

Nel 1478, Antaldo d' Alagon ed il Visconte di Sanluri, dopo la battaglia di Mores, nella quale erano stati sconfitti, si rifugiarono nel Castello. I vincitori ve li inseguirono, seminando ovunque la desolazione. Non tardarono, però, a ripartirsene velocemente, appena ebbero sentore che il Marchese Alagon veniva a combatterli con tutte le forze, e si accorsero che la popolazione del luogo, fortemente sdegnata per i saccheggi subiti, stava per impugnare le armi contro di essi.

Sconfitto duramente a Macomer, Antaldo Alagon ed il Visconte di Sanluri ritornarono a rinchiudersi nel Castello del Goceano in attesa di tempi migliori, e resistettero per oltre un anno al sassarese Angelo Marongiu, capitano dell'esercito aragonese, poi capitolarono. Con loro caddero prigionieri del Marongiu anche due figlie e due figli naturali di Leonardo Alagon, ultimo marchese d'Oristano.

Poco più tardi il castello fu abbandonato e, non più curato, l'opera distruttrice del tempo ebbe ragione delle forti mura, che finirono per sbriciolarsi.

Oggi il Castello non risuona più di canti di guerra e di strepito d'armi, ma i fatti avvenuti dentro ed intorno alle sue mura non verranno dimenticati dalle genti del Goceano, che, contemplandolo al tramonto ed al sorgere del sole circonfuso d'un pulviscolo d'oro, rivivranno le antiche leggende ed i fatti gloriosi, che il tempo tramanda alla memoria dei posteri.

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