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Notizie storiche sul Goceano


Il Goceano è delimitato da una dorsale montuosa che va dal monte Fraidorzu (m. 1004) alla punta Masienèra (m. 1157), sovrastante Bultei, e dal Monte Rasu (m. 1259) che a sud-ovest si innesta nella catena del Marghine. -

Nella remota antichità il Goceano faceva parte di quel centro dell'Isola presso che inviolato nei secoli, sia per la natura impervia del suolo, sia per quella non meno fiera dei suoi abitanti. Ha infatti scritto Diodoro Siculo che gli Iolei vivevano intanati nelle loro montagne, che potrebbero anche identificarsi con quelle del Goceano. Secondo Strabone erano in Sardegna quattro schiatte di indigeni, e tutte vivevano di rapina e di ladronecci: gli abitanti della regione montuosa del centro, Balari od Iliesi che fossero, erano certamente fra i più rapaci.

Questi primi abitanti dell'isola potevano forse discendere dagli etruschi di Populonia, o da iberi, o da siculi; così almeno riteneva Tolomeo, od anche da libi. Tuttavia siamo sempre nel campo delle ipotesi, e sembrerebbe invece più probabile che i popoli o le tribù del centro della Sardegna fossero di varia provenienza, formate e radunate per le esigenze della difesa contro gli invasori. La Sardegna infatti godeva fama di terra ricca di frutti naturali, cereali ed armenti, ed i popoli e le città adusate ai traffici marittimi vi facevano certamente delle incursioni, quanto meno per approvvigionarvisi. Da ciò la tendenza degli indigeni ad abbandonare le coste e le località vicine al mare, ed a raccogliersi nei luoghi meglio difesi dalla natura: ciò che veniva a creare spontaneamente una struttura tribale primitiva. Strabone descrive queste tribù annidate nelle

più selvaggie montagne: sono «abitatori tutti di spelonche: non seminano i loro campi, o ciò fanno a malincuore ed i più diligenti vicini depredano». Alla difesa offerta dalla natura del suolo si aggiungeva quella del clima micidiale.

Da una osservazione del Pais si potrebbe arguire che gli abitatori del Goceano e del Marghine, al pari di quelli insediati nella conca di Torralba, meglio di ogni altro abbiano resistito agli invasori. Lo storico delle antiche civiltà rileva che i nuraghi che si ritrovano in quelle località sono fra i più grandi, belli e perfetti; dal che l'ipotesi che i territori anzidetti non siano stati mai occupati dai cartaginesi, i quali, come è noto, intra-presero il disarmo dell'isola con la demolizione delle fortezze nuragiche ed imposero la trasformazione delle culture, con la distruzione delle foreste, che servivano la pastorizia, rendendo invece obbligatorie le culture cerealicole.

Un costume di vita che consentiva il soggiorno nei luoghi più inaccessibili e ricchi di difese naturali costituì sempre un ostacolo agli invasori o comunque agli occupanti. Perfino i piemontesi del secolo XVIII si trovarono a dovere affrontare

il    problema, ed i viceré sabaudi tentarono, senza riuscirvi, di controllare i pastori vaganti e ribelli.

Tutto il territorio ricco di naturali difese e praticamente inaccessibile fu designato dai dominatori del periodo storico, e cioè dai cartaginesi e dai romani, col nome generico di Barbaria. Anche nella geografia di Tolomeo non troviamo indicazioni più precise sulle popolazioni delle montagne centrali, che forse consistevano tuttora nelle spelunche ricordate da Strabone.

Tolomeo ha però ricordato una città dal nome Lesa, della quale si hanno traccie in territorio di Anela, ed altresì le «Aquae Lesitanae», che potrebbero essere le odierne acque termali di Benetutti. E' altresì possibile che nel periodo romano sia stata tracciata una via pubblica lungo la vallata del Tirso, (da Karalis ad Olbia) e cioè ai piedi del massiccio montagnoso del Goceano.

Si tratta sempre di ipotesi incerte e prive di precisi riferi­menti storici o topografici.

I secoli precedenti sono infatti del tutto oscuri anche per quanto possa riferirsi ad altre parti dell'isola più accessibili ai contatti col mare, e cioè con la civiltà. Storicamente risulta, dalle lettere di 5. Gregorio Magno, che alla fine del secolo VI il cristianesimo non era per altro penetrato nelle regioni centrali

abitate dai discendenti degli antichi iliesi, tuttora idolatri. Ed anche se altrove vi furono Giudici anteriormente al Mille, come vorrebbe il Vico, è certo che il loro potere non potè estendersi a quei territori che anche i Bizantini, non meno che gli invasori Vandali e Goti, non erano riusciti a controllare.

La storia del Goceano come unità etnologica deve perciò necessariamente assumere come punto di partenza il periodo giudicale, che ha inizio col secolo XI, con l'apparire cioè sulla scena della storia dei primi Giudici turritani (Gonario I o Dorgodorio de Kerki, che avrebbero regnato prima di Barusone I, che troviamo sul trono nel 1064). Il Goceano infatti faceva parte del Giudicato del Logudoro e vi erano incluse le Curatorie di Anela e di Gociani: questa seconda aveva per capoluogo la villa di Bortiocoro (presso Burgos ed Esporlatu), in seguito distrutta.

Il Giudicato del Logudoro si spingeva al sud col suo vasto territorio: i suoi confini giungevano fino alle curatorie di Monti­verro, con Pitinuri; del Marghine, con un castello a Macomer; ad Ozan (Ottana) ed a Sarule. Arborea e Logudoro confinavano:

anzi, secondo il Fara (che dice di avere desunto la notizia da un codice di Santa Maria di Cerigo) all'inizio del secolo XI avrebbero avuto, unico Giudice, un Comita I de Lacon detto anche Gonario I.

Alcuni storici affermano altresì che Arborea e Logudoro sarebbero rimasti uniti anche sotto il successore di Comita, che il Fara chiama Dorgodorio Gunale. Tuttavia si deve tener presente che nello stesso volger di anni si ebbero Giudici di uguale nome a Cagliari e nella Gallura, così che ogni afferma­zione al riguardo apparisce incerta se non arbitraria.

Ciò che può aversi per certo è che già nei primi anni del secolo XII il Goceano era considerato come una regione ricca e desiderabile (la ricchezza in quel tempo consisteva in foreste ed armenti) ed il suo possesso era oggetto di frequenti contese fra i Giudici logudoresi e arborensi, i quali, pur appartenendo ad unica schiatta, non esitavano ad impugnare le armi l'uno contro l'altro per accrescere i rispettivi territori.

Gonario I (o Il ove si accetti la genealogia del Fara) fu regolo di Torres nel 1127, reduce dall'esilio di Pisa ove aveva trascorso gli anni dell'adolescenza per sfuggire ai suoi nemici

nel Giudicato, che erano i sostenitori della potente famiglia de Athen.

Questi ultimi resistevano ancora nel loro centro di Pozzo-maggiore quando Gonario potè rientrare nel suo minuscolo regno con la protezione e l'assistenza delle galee e degli armati pisani. Il novello Giudice diede subito mano alla edificazione del castello di Burgos, detto anche castrum Gociani, che risultò una delle fortezze più munite del medioevo sardo; destinata alla difesa contro i nemici di Oristano, non meno che contro quelli di Puthu Maiore.

Questi, gli Athen, furono sterminati appunto sotto le mura del castello di nuova costruzione: probabilmente avevano tentato di portare a termine il loro progetto di usurpazione del trono. Non è possibile stabilire allo stato attuale se nello scontro del Goceano gli Athen fossero gli assalitori del nuovo castello, ovvero si fossero in esso fortificati.

Gli Athen appariscono nella storia del Giudicato di Torres già da quando vi regnava Mariano I (1063-1085): venivano certamente dalla stirpe giudicale, comune anche agli altri Giudi­cati, dei Lacon-Gunale. Un Gosantine Athen, figlio di un Pietro, apparisce in una donazione del 1120. Verso la metà del secolo

XI aveva sposato Pretiosa de Lacon, forse sorella del regnante Mariano I, e reggeva la Curatoria di Ficulinas (Florinas). Gosantine e Pretiosa ebbero almeno quattro figli, Petru, Ithocor, Mariano e Susanna (o Giorgia). Gli Athen erano indubbiamente, dopo quella dei Giudici, la famiglia più cospicua del Logudoro. Avevano ricche proprietà, particolarmente nella diocesi di Sorres, così da trovarsi in grado di fondare un monastero, dotandolo naturalmente di terre, bestiame e servi. Fu questo il monastero camaldolese di San Nicola di Trullas, in territorio di Pozzo-maggiore, che ci ha lasciato un prezioso Condaghe, pubblicato dal Besta, nel quale sono registrati gli atti del monastero, a partire dalla fondazione, avvenuta nel 1113. Fondatori furono Pietro de Atzen con la moglie Padulesa, Ithocor de Atzen con la moglie Irene de Thori, Mariano de Atzen, Niscoli de Carbia con la moglie Elena de Thori, Comita de Thori con la moglie Vera de Atzen, Costantino, Ithocor, Pietro e Giorgia de Athen. La donazione ebbe il consenso del giudice di Torres Costantino de Lacon e della moglie Marcusa de Gunale.

Lo Scano nella sua cronologia assegna a questo Giudice un periodo di regno dal 1120 al 1127, ma il suo nome apparisce già in documenti del 1082 e nel ricordo della conquista delle Baleari, compiuta dai Pisani nel 1113.

Gli Athen avevano perciò il loro piccolo regno nella Cura­toria di Caputabbas, della quale uno di loro era di regola Curatore, ma estendevano indubbiamente la loro ingerenza ed

il loro potere ad altri punti del Giudicato, specialmente nelle funzioni di Curatore, di solito attribuite a membri della famiglia Giudicale.

Dal Condaghe di San Nicolò di Trullas e dall'altro coevo di

S. Maria di Bonarcado risultano i nomi di trentatrè membri della famiglia. Oltre il n. 197, dedicato a «sos de Athen», vi troviamo con qualifica di curatore Comita, Ithocor, Gosantine di Pietro, Petru, Arcatu, Gunnari. La vasta e potente famiglia era perciò in condizione di aspirare alle maggiori cariche ed anche al supremo potere.

L'occasione apparve propizia quando, verso il 1127, venne a morte il Giudice Costantino, lasciando dei figli in giovanissima età, fra i quali l'erede del trono Gonario. Scoppiarono allora disordini nel Giudicato, forse anche per sobillazione genovese:

gli Athen aspirarono certamente alla reggenza o forse anche al regno. Il mezzo migliore per arrivarvi era quello di togliere di vita il successore legittimo, che fu perciò in serio pericolo.

Un amico del padre, Ithocor Gambella, lo mise in salvo:

lo condusse segretamente fra i mercanti pisani che abitavano a Portu Turris, e questi lo fecero rifugiare nella loro città. Naturalmente la repubblica di Pisa aveva interesse a guada­gnarsi l'animo del giovane sovrano: forse nei contrasti e nei disordini avvenuti alla morte di Costantino dobbiamo vedere una delle solite manifestazioni della lotta d'influenza fra Genova e Pisa. Ed infatti il giovane sovrano fu trasferito in quest'ultima città, ove gli venne fatta sposare la figlia del suo ospite, Maria Embriaci, e non appena ebbe compiuto 18 anni gli furono forniti mezzi militari (quattro galee) per il ritorno in Sardegna e l'insediamento sul trono.

Gli Athen erano in armi. Gonario si ridusse nel castello di Ardara, altra munitissima arces, che sembra sia stato edificato, insieme con l'attigua basilica, da Giorgia di Lacon, sorella del Giulice Comita (o Mariano) regnante fra il 1073 ed il 1082. Da

Ardara il nuovo sovrano si preparò ad affrontare i nemici, intraprendendo la costruzione di un'altra arces alle falde del Monte Rasu. Gli Athen mossero all'attacco, forse con intenzione di impadronirsi della persona del Giudice, ma parecchi di loro caddero sotto le mura del castello. Il giovane Giudice, con i suoi fautori, passò quindi al contrattacco: sorprese la famiglia nemica, o la maggior parte dei suoi membri superstiti, nella chiesa di San Nicolò di Trullas (forse vi si erano rifugiati) e li passò per le armi. Il Fara ha riferito l'impresa di Gonario in questo modo:

Hic (Gunnarius Il) castrum montis Gociani condidit, et ecclesiarn S. Mariae de Cerigo magnifice ornavit, atque los de Arzenis et Arendos suos inimicos infensosque habuit, omnes obsidione cinxit et occidit, amicos vero et necessarios suos permultis premiis donavit».

Infatti (secondo il Vico) donò ad Ithocor Gambella una o più ville della contrada di Romagna, che comprendeva Sen­nori, Sorso, Tanague ed Uruspe.

L'avvento al trono di Gonario, diede a Pisa il sopravvento nel Logudoro, ma, necessariamente, risvegliò l'ostilità di Ge­nova. La repubblica ligure si rivolse al giudice di Arborea Comita, che regnava nel 1131, e lo istigò alla conquista del Logudoro. Le ostilità cessarono presto, per mediazione del Pontefice Eugenio III e Gonario si dedicò tutto alla religione, forse per espiare i trascorsi peccati (aveva sulla coscienza l'uccisione di tanti congiunti) e si ritirò nel convento di Chia­ravalle.

La guerra fra giudici divampò nuovamente alla fine del secolo XII, Guglielmo di Massa giudice di Cagliari e Costan­tino II di Torres invasero il giudicato di Arborea, ove regna­vano Pietro I de Serra ed il nipote Ugone di Bas. Questo ultimo fuggì, Pietro venne fatto prigioniero. Intervenne pero

il Pontefice Innocenzo III: ad Ugone fu restituita la libertà e metà del giudicato.

Il castello del Goceano venne in quell'occasione dato in pegno al giudice cagliaritano (erano insorti contrasti fra Costantino e Guglielmo), ma poco dopo Costantino, insor­gendo contro i patti, se ne impossessò. Ciò gli valse la sco­munica del Pontefice, ma le ostilità continuarono ad imper­versare nel Goceano. Costantino si era rinchiuso nel castello

insieme con la moglie, che era la catalana Prunisinda. La rocca cadde: il vincitore Guglielmo si impadronì della moglie del giudice nemico, la violò e la tenne prigioniera, insieme con altre giovani del Goceano. Costantino dovette ricorrere alla mediazione pisana ed ottenne il riscatto delle prigioniere con il pagamento di 25.000 bisanti. Secondo i patti i castelli del Goceano e di Monteferro sarebbero stati dati in perma­nente custodia a due cittadini Pisani, scelti dalla repubblica toscana che non perdeva occasione per accrescere la sua in­fluenza, acquistando il controllo di un luogo che offriva in­dubbiamente grande interesse militare. Costantino morì poco dopo e non poté prima riconciliarsi con la Chiesa, come aveva chiesto all'arcivescovo turritano ed al vescovo di Sorres.

Secondo il Libellus iudicum turritanorum egli aveva fatto mala meda con tra sa santa ecclesia romana: sebbene nei sette anni di regno fosse stato largo di donazioni alle chiese ed agli ordini religiosi.

Il beato Giovanni Parenti governò l'Ordine dei Frati Mi­nori dopo S. Francesco e Pietro Cattani. Nel 1226 lasciò però la sede dell'Ordine per la Corsica e la Sardegna, ove ben presto si ritirò nel Monte Rasu, avendo avuto in dono da Adelasia un piccolo convento attiguo al Castello dove la infelice regina doveva morire alcuni anni dopo.

Gli storici del passato hanno voluto prolungare l'esistenza del giudicato di Torres col breve regno di Enzo, il quale tutta­via, se non soltanto di nome, regnò effettivamente per pochi mesi. Non era ancora caduto prigioniero dei bolognesi quando l'annullamento del suo infelice matrimonio fu disposto da papa Innocenzo IV ed Adelasia si trovò nuovamente in stato di vedovanza.

Il papa si riprometteva di assicurare alla Santa Sede la devoluzione del Giudicato; infatti è stato creato tardivamente un documento (Libellus iudicum turritanorum) secondo il quale Adelasia, stando nel castello del Goceano, si sarebbe dichiarata pentita del matrimonio fatto a suo piacere e avreb­be inteso restituire «a sa Santa Ecclesia Romana» il regno di Logudoro, che aveva avuto da papa Gregorio IX.

La storia, o meglio la leggenda, ha attribuito ad Enzo, o ad un suo vicario, o a Michele Zanche, che sarebbe divenuto amante o marito della vedova regina, la relegazione di Adela­

sia nel Castello di Burgos. La Giudicessa aveva ricevuto il Giudicato dai suoi diretti ascendenti, fino al giudice Mariano suo padre, che regnò dal 1218 al l232, e non già dal papa Gre­gorio IX, che ebbe la tiara nel 1227, come vorrebbe il tardivo Libellus. Probabilmente prese dimora verso il 1240 nel Go­ceano per motivi di sicurezza personale.

Vi erano certamente persone interessate a toglierla dalla scena del mondo, e la contrada del Goceano, e forse il castello di Ardara, era tutto ciò che alla regina restava dell'avito Giudicato.

La Gallura aveva perduto la caratteristica di regno indi­pendente fin dal tempo del giudice Costantino di Lacon (verso

il 1146) o di Barisone di Lacon, figlio del precedente e marito di una Elena di Lacon, che nel 1184 reggeva, in Arborea, la curatoria di Milis. Il Giudicato era pervenuto ai Visconti verso

il 1203 o 1206, col matrimonio di una Elena di Gallura, proba­bilmente figlia del precedente Barisone, che aveva sposato un Lamberto Visconti, contro la volontà del pontefice Inno­cenzo III. Elena era premorta al marito, il quale ancora nel 1223 reggeva il Giudicato come cosa propria, e lo aveva perciò legato al figlio Ubaldo, che divenne marito di Adelasia, e che ebbe degli altri Visconti come successori (Giovanni, 1238 -1275; Ugolino o Nino, 1275 - 1298). La Gallura si era così tro­vata, fin dagli inizi del secolo, sotto il controllo di Pisa, della quale repubblica i Visconti erano fra i primati.

Sassari a sua volta nel 1236 si era ribellata al Giudice ed aveva chiuso le porte della città in faccia ad Ubaldo e ad Adelasia, dopo averne distrutto il palazzo situato entro le mura cittadine. Il nascente Comune, o già nato, aveva perfino impo­sto alla Giudicessa il riconoscimento della sua podestà terri­toriale nella Fluminargia; mentre Alghero, Castel Genovese, le curatorie di Caputabbas e dell'Anglona erano già perdute per il Giudicato essendo nelle mani dei Doria e dei Malaspina; gli Spinola alla loro volta erano insediati ad Osilo ed a Bosa. Altra parte di quanto restava del Giudicato del Logudoro era forse nelle mani di Michele Zanche, che ne fu signore, e non Giudice, fino a quando il genero non gliela tolse col pugnale. Nello stesso periodo i Donoratico, Guglielmo di Capraia, le­gati imperiali e pontifici, genovesi e pisani, si contendevano

con le armi quanto ancora era rimasto disponibile o sembrava passibile di conquista.

Già dal tempo di Mariano II i Giudici d'Arborea avevano spiegato le loro brame su quanto rimaneva del Giudicato di Logudoro, particolarmente sul Goceano. Adelasia era scom­parsa, forse nel 1255, quando Mariano TI, d'accordo con i Pi-sani, invase il Logudoro, incorrendo nei fulmini del Pontefice Innocenzo III; fra i suoi obbiettivi era la conquista del Goceano.

La scomparsa del Giudicato di Cagliari era avvenuta nel 1257, con la morte di Chiano di Massa e la capitolazione di Santa Igia, che solo per breve tempo rimase nelle mani di Guglielmo Cepolla. Con la spartizione del regno cagliaritano fra Guglielmo Capraia, Giovanni Visconti ed i Donoratico fu­rono instaurate anche nella Sardegna meridionale signorie continentali, pisane e genovesi.

Il Goceano, che costituiva un territorio di considerevole estensione, popolazione e ricchezza, anche dopo il 1236 era rimasto, ormai unico dominio, alla dinastia logudorese: forse per questo motivo la spossessata Adelasia lo scelse come sua dimora. Ma sulla regione si appuntavano tuttora le brame della potente ed ambiziosa dinastia vicina. L'Arborea, nonostan­te le frequenti commistioni matrimoniali ed i pretendenti stra­nieri, aveva infatti mantenuto nei suoi Giudici caratteristiche locali, cioè sarde. Nel momento della dissoluzione degli altri tre Giudicati, quello di Arborea si era tuttavia trovato in una situazione estremamente confusa: dopo la morte di Pietro I (de Serra), che aveva regnato solo dal 1185 al 1192, si ave­vano disputato il potere Barisone II (de Serra: 1215-1217), Ugone di Bas, Guglielmo di Massa, i Giudici di Torres ed altri. Nel 1250 una parte del Giudicato era in potere del pisano Gu­glielmo di Capraia, forse marito di una Lacon, associato tut­tavia ad un Mariano visconte di Bas, che in una lapide esisten­te nel Museo di Sassari, è indicato come dominus Arboree. Con la discendenza dei Bas il Giudicato riprese caratteristiche indigene ed in un certo senso autonome, benché legato alla politica di Pisa. Da Mariano II (1265-1297) a Mariano IV (1345-1375) che fu padre di Ugone III (1375-1383); ed alla

grande Eleonora (1383 - 1403) ed a Beatrice, moglie di Alme­rigo visconte di Narbona, si ebbe la diretta discendenza dei Bas.

Da una relazione del legato pontificio Federico Visconti, arcivescovo di Pisa, riportata dal Tola (C.D. I, 382, 2), si apprende che nella primavera del 1263 il Giudice d'Arborea (Mariano), accompagnato dall'arcivescovo di Oristano (Omo­deo II) e dai vescovi suoi suffraganei, assediava il castello del Goceano nel Giudicato Turritano, con un grosso esercito, valutato in mille cavalieri e altrettanti fanti. In quel torno i Gherardeschi attaccavano Sassari. Nel campo opposto combat­tevano certamente i Doria e gli Spinola, difendendo gli acqui­sti già fatti nel Logudoro. I vescovi suffraganei turritani (Domenico di Ploaghe, Giovanni di Bisarcio, Mariano di Ca­stro, Giovanni d'Ampurias, ed Arzocco vicario del pievano di Sassari) con i maggiorenti del comune di Sassari (Bernardo di Villena, Comita Corda, Comita Caseo Corda, Barisone Ca­seo, Nicola e Arzocco de Nuula, Gantino Uthiti, Ugolino Ro­manai e Stefano de Rosa), nonché alcuni boni homines del regno logudorese, riuniti in Sassari nell'lì agosto 1269 nella casa del vescovo di Ploaghe, «avuto presente che non solo il regno di Logudoro ma altresì tutta l'isola di Sardegna era caduta in tanta desolazione come non mai, trovandosi priva di ogni forma di governo e di reggimento reale, eleggevano re di Sardegna Filippo, figlio di Carlo d'Angiò, salvi i diritti della Chiesa e l'assenso del pontefice.

Non è da credere che questa scelta fosse veramente di libera elezione dei sassaresi o dei sardi. In realtà il comune di Genova, con singolare coincidenza di data, nel 12 agosto 1269, aveva stretto alleanza con Carlo d'Angiò, del quale Filippo era secondogenito.

I confusi avvenimenti che si ebbero in quel periodo non soltanto in Sardegna ma anche nella stessa Pisa, fino alla battaglia della Meloria (11 maggio 1284) ed alle sue conse­guenze, non interessano il presente studio. Con la pace del 15 aprile 1288 furono regolati i rapporti in Sardegna fra Pisa e Genova, ed i castelli di Goceano, Montiferro, Monteacuto ed Urbe furono finalmente attribuiti al Giudice arborense con le relative terre, giudizi giurisdizionali e fiscali, ecc.  ……………..

Notizie storiche sul Goceano tratte da  “Il Goceano”

di A. Satta-Branca –P.Brandis –F. Giordo

Editrice Sarda Fossataro – Cagliari 197
 
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